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VERSO 38

sukha-duḥkhe same kṛtvā
lābhālābhau jayājayau
tato yuddhāya yujyasva
naivaṁ pāpam avāpsyasi

sukha: nella felicità; duḥkhe: e nel dolore; same: con equanimità; kṛtvā: facendo; lābha-alābhau: nel profitto e nella perdita; jaya-ajayau: vittoria e sconfitta; tataḥ: poi; yuddhāya: unicamente per combattere; yujyasva: combatti; na: mai; evam: in questo modo; pāpam: la reazione del peccato; avāpsyasi: otterrai.

Combatti per dovere, senza considerare gioia e dolore, guadagno e perdita, vittoria e sconfitta. Così facendo non incorrerai nel peccato.

Ora Kṛṣṇa chiede direttamente ad Arjuna di combattere per dovere, perché Lui lo desidera. Quando si agisce per Kṛṣṇa non si devono prendere in considerazione la gioia e il dolore, il guadagno e la perdita, la vittoria e la sconfitta. Chi ha una coscienza trascendentale capisce che ogni atto dev’essere finalizzato alla soddisfazione del Signore; in questo modo non ci saranno ripercussioni materiali. Chi agisce invece per il proprio piacere, che sia influenzato dalla virtù o dalla passione, deve subire le conseguenze dell’azione, buona o cattiva. Abbandonandosi completamente al servizio di Kṛṣṇa non si hanno più obblighi verso nessuno e non si è più debitori di nessuno, al contrario di chi svolge attività ordinarie.
A tal proposito lo Śrīmad-Bhāgavatam (11.5.41) afferma:

devarṣi-bhūtāpta-nṛṇāṁ pitṝṇāṁ
na kiṅkaro nāyam ṛṇī ca rājan
sarvātmanā yaḥ śaraṇaṁ śaraṇyaṁ
gato mukundaṁ parihṛtya kartam

Chi si abbandona pienamente a Kṛṣṇa, Mukunda, e rinuncia ad ogni altro dovere, non ha più obblighi o debiti con nessuno, che siano deva, saggi, parenti, antenati o l’umanità intera.”
Nel verso Kṛṣṇa suggerisce indirettamente ad Arjuna quest’idea, che esporrà in modo più chiaro nei prossimi versi.

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