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VERSO 10

yogī yuñjīta satatam
ātmānaṁ rahasi sthitaḥ
ekākī yata-cittātmā
nirāśīr aparigrahaḥ

yogī: uno spiritualista; yuñjīta: deve assorbirsi nella coscienza di Kṛṣṇa; satatam: costantemente; ātmānam: se stesso (col corpo, la mente e il sé);  rahasi:  in  un luogo solitario; sthitaḥ: essendo situato; ekākī: solo; yata-citta-ātmā: sempre molto attento a controllare la mente; nirāśīḥ: senza lasciarsi attrarre da nient’altro; aparigrahaḥ: libero da ogni senso di possesso.

Vivendo in un luogo solitario e controllando la mente, lo spiritualista, libero da ogni distrazione e senso di possesso, deve connettersi al Supremo con mente, corpo e anima.

La realizzazione di Kṛṣṇa comprende tre livelli: la realizzazione del Brahman, del Paramātmā e della Persona Suprema. Essere coscienti di Kṛṣṇa significa essere pienamente impegnati nel trascendentale servizio d’amore al Signore. Coloro che sono attratti dal Brahman impersonale o dall’aspetto localizzato dell’Anima Suprema sono anch’essi, in modo indiretto e incompleto, coscienti di Kṛṣṇa, perché il Brahman impersonale è la radiosità spirituale del Signore Supremo e il Paramātmā è la Sua rappresentazione parziale onnipresente. Chi è direttamente cosciente di Kṛṣṇa è il più avanzato di tutti gli spiritualisti, perché sa che cosa sono il Brahman e il Paramātmā; la sua conoscenza della Verità Assoluta è dunque perfetta, mentre quella dell’impersonalista e dello yogī rimane imperfetta.

Si consiglia comunque a ogni spiritualista di seguire con perseveranza la via che ha scelto, perché prima o poi tutti raggiungono la perfezione più alta.
Il primo dovere dello spiritualista è concentrare la mente su Kṛṣṇa, pensare sempre a Lui e non dimenticarLo mai, neanche per un istante. Questa concentrazione della mente sul Supremo si chiama samādhi, estasi meditativa. Per raggiungerla occorre vivere in solitudine ed evitare ogni distrazione, cercare situazioni favorevoli e rifiutare tutto ciò che potrebbe ostacolare la realizzazione spirituale. Fermo nella sua determinazione, lo spiritualista deve inoltre disfarsi della bramosìa per i beni materiali inutili, che lo renderebbero prigioniero del senso di possesso.

Quando si pratica direttamente la coscienza di Kṛṣṇa tutte queste precauzioni sono già prese, dato che il bhakti-yoga implica un’abnegazione di sé che lascia ben poco spazio al desiderio di possesso. Śrīla Rūpa Gosvāmī dice a questo proposito nel suo Bhakti-rasāmṛta-sindhu (2.255-256):

anāsaktasya viṣayān, yathārham upayuñjataḥ
nirbandhaḥ kṛṣṇa-sambandhe, yuktaṁ vairāgyam ucyate

prāpañcikatayā buddhyā
hari-sambandhi-vastunaḥ
mumukṣubhiḥ parityāgo
vairāgyaṁ phalgu kathyate

“Chi non ha attaccamenti materiali, ma nello stesso tempo accetta ogni cosa utile per il servizio a Kṛṣṇa, trascende veramente ogni idea di possesso. Chi invece rifiuta tutto, ignorando il legame che unisce ogni cosa a Kṛṣṇa, non è completo nella sua rinuncia.”

Poiché sa che il Signore è il proprietario di ogni cosa, il devoto di Kṛṣṇa si libera senza difficoltà da ogni idea di possesso; non cerca mai qualche beneficio personale, ma sa accettare ciò che è favorevole alla coscienza di Kṛṣṇa e rifiutare ciò che potrebbe ostacolarla. Sempre situato sul piano spirituale, trascende la materia e vive in solitudine, senza interesse per la compagnia di persone che rifiutano la coscienza di Kṛṣṇa. Per questi motivi è lo yogī perfetto.

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