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VERSO 14

mātrā-sparśās tu kaunteya
śītoṣṇa-sukha-duḥkha-dāḥ
āgamāpāyino ’nityās
tāṁs titikṣasva bhārata

mātrā-sparśāḥ: percezioni sensoriali; tu: soltanto; kaunteya: o figlio di Kuntī; śīta: l’inverno; uṣṇa: l’estate; sukha: la felicità; duḥkha: e l’infelicità; dāḥ: che generano; āgama: appaiono; apāyinaḥ: scompaiono; anityāḥ: non permanenti; tān: tutte queste; titikṣasva: cerca di tollerare; bhārata: o discendente della dinastia Bharata.

Effimeri, gioie e dolori vanno e vengono come l’estate e l’inverno, o figlio di Kuntī. Nascono dalla percezione dei sensi, o discendente di Bharata, e bisogna imparare a tollerarli senza esserne disturbati.

Per compiere bene il proprio dovere bisogna imparare a tollerare l’effimero manifestarsi della gioia e del dolore. I Veda raccomandano, per esempio, di fare un bagno tutte le mattine, anche nel mese di māgha (gennaio-febbraio). Benché in questo periodo faccia molto freddo, chi obbedisce ai princìpi religiosi non esita a farlo, come una donna non esita a sopportare il calore soffocante della cucina per preparare il pasto quotidiano in piena estate. Qualunque siano le condizioni climatiche, bisogna svolgere il proprio dovere. Così è per lo kṣatriya, che non può sottrarsi al suo dovere neanche se si trova a dover combattere contro parenti e amici. I doveri e i princìpi religiosi vanno rispettati se vogliamo elevarci al piano della conoscenza spirituale, perché solo la conoscenza e la devozione consentono di sfuggire alla presa di māyā (l’illusione).

I due nomi dati qui ad Arjuna sono entrambi significativi: “Kaunteya” e “Bhārata” ricordano infatti la sua nobile discendenza materna e paterna. Essendo l’erede di una grande stirpe, egli ha la responsabilità di svolgere adeguatamente i suoi doveri. Non può quindi evitare il combattimento.

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