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VERSO 26

atha cainaṁ nitya-jātaṁ
nityaṁ vā manyase mṛtam
tathāpi tvaṁ mahā-bāho
nainaṁ śocitum arhasi

atha: se tuttavia; ca: anche; enam: quest’anima; nitya-jātam: nata per l’eternità; nityam: per sempre; vā: o; manyase: tu pensi così; mṛtam: morta; tathā api: quand’anche; tvam: tu; mahā-bāho: tu, che hai braccia possenti; na: mai; enam: per l’anima; śocitum: di lamentarti; arhasi: non meriti.

Se anche tu pensassi che l’anima muore e rinasce infinite volte, non avresti alcun motivo di lamento, o Arjuna dalle possenti braccia.

C’è da sempre una categoria di filosofi, vicini al pensiero buddista, che non ammettono l’esistenza di un’anima separata dal corpo. All’epoca in cui Kṛṣṇa enunciò la Bhagavad-gītā erano conosciuti col nome di lokāyatika e vaibhāṣika. Secondo loro, i sintomi della vita appaiono quando la combinazione degli elementi materiali raggiunge un certo grado di maturità. La scienza e le filosofie atee contemporanee sono della stessa opinione: il corpo sarebbe un’amalgama di elementi psichici e chimici che a un certo stadio d’interazione producono la vita. Tutta l’antropologia si basa su questa tesi. Numerose pseudo-religioni, molto di moda ai giorni nostri, aderiscono a questa filosofia o a quella delle scuole buddiste nichiliste e non devozionali.

Anche se Arjuna avesse negato l’esistenza di un’anima distinta dal corpo sull’esempio della filosofia vaibhāṣika, non avrebbe comunque avuto ragione di affliggersi. Chi piangerebbe su una massa di elementi chimici trascurando per questo di compiere il proprio dovere? La ricerca scientifica moderna e l’esercito sprecano tonnellate di prodotti chimici per vincere il nemico. La filosofia vaibhāṣika sostiene che l’ātmā, l’anima, perisce col corpo, pertanto Arjuna non ha motivo  di abbattersi sia che aderisca alle conclusioni dei Veda sull’esistenza di un’anima infinitesimale, sia che neghi queste conclusioni.
Secondo la teoria vaibhāṣika una moltitudine di esseri nascono ad ogni istante dalla materia e altrettanti periscono. Che ragione c’è dunque di rattristarsi? E visto che, sempre secondo questa tesi, la rinascita non esiste, Arjuna non ha da temere le conseguenze della colpa insita nell’uccisione di suo nonno e del suo precettore. Ovviamente contrario alla teoria dei vaibhāṣika, che trascurano la saggezza dei Veda, Kṛṣṇa definisce con ironia Arjuna mahā-bāhu, “dalle braccia possenti”. In quanto kṣatriya, Arjuna appartiene alla cultura vedica ed è suo dovere continuare a seguirne i princìpi.

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